Ultimo aggiornamento: 5 giugno 2025
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In questo articolo risponderemo alle domande:
Il fumo è una delle principali cause del tumore dei polmoni (e non solo); il tumore della cervice uterina è provocato dal papilloma virus; lavorando sui fattori di rischio prevenibili, come seguire una sana alimentazione, non fumare e fare attività fisica, è possibile prevenire circa il 40% delle diagnosi di tumore.
Tutte queste affermazioni, oggi ben note e quasi scontate, sono anche il frutto dei risultati della ricerca epidemiologica, grazie alla quale gli esperti del campo sono riusciti a individuare tante associazioni tra malattie e loro fattori di rischio molto importanti per la salute.
L’epidemiologia è “lo studio della distribuzione e della frequenza delle malattie e delle condizioni o eventi legati alla salute in popolazioni ben definite, nonché l’applicazione di questo studio per controllare i problemi di salute”. Partendo proprio da questa definizione cercheremo di capire meglio in cosa consiste questa disciplina e qual è il suo contributo alla medicina in generale e più in particolare all’oncologia.
La parola epidemiologia deriva dal greco antico ed è composta da epi, che significa su, demos, ovvero popolo e logos, che vuol dire studio. Quindi possiamo dire che l’epidemiologia è uno “studio sulla popolazione”.
In effetti una delle prime differenze tra la clinica e l’epidemiologia sta proprio nei destinatari delle attenzioni degli esperti. Mentre il clinico si concentra soprattutto sul singolo paziente, l’epidemiologo allarga lo sguardo a una moltitudine, a un gruppo di persone.
Un'altra differenza importante tra clinico ed epidemiologo è lo scopo principale delle loro attività: il primo cerca di fare una diagnosi e di curare la persona, mentre il secondo si preoccupa di capire il perché di una malattia in una popolazione e come essa insorge.
L’epidemiologo studia come è distribuita una malattia all’interno di una specifica popolazione (per esempio, limitatamente ai bambini; tra le persone che svolgono un determinato lavoro; o quelle che seguono una certa alimentazione, ma soprattutto cerca di identificare i fattori di rischio che determinano una patologia.
Vista così, l’epidemiologia potrebbe sembrare una scienza poco “pratica”, che si limita a osservare e descrivere un fenomeno. La realtà è però ben diversa e proprio grazie agli studi epidemiologici è stato possibile introdurre strategie di prevenzione efficaci per contrastare la diffusione di patologie anche molto pericolose.
L’epidemiologia non è una scienza nuova. Già quattro secoli prima di Cristo, il medico greco Ippocrate suggeriva che ci fosse un legame tra fattori ambientali e altri legati all’individuo (per esempio i suoi comportamenti) alla base dello sviluppo delle malattie. Nel 1662, il merciaio e consigliere londinese John Graunt pubblicò un’analisi dei dati di mortalità, sottolineando differenze tra uomini e donne, tra campagna e città e nelle diverse stagioni.
Si deve però arrivare fino al 1800 per incontrare il medico britannico John Snow, considerato il “padre dell’epidemiologia” per i suoi studi condotti a Londra sul colera (oltre a essere stato un pioniere dell’anestesia). Grazie alle sue attente ricerche sulla popolazione e sulla distribuzione geografica della malattia, Snow ipotizzò che la trasmissione fosse legata all’acqua e in particolare ad alcune pompe contaminate. Dalla teoria alla pratica, quando le pompe sospette furono chiuse, la diffusione del colera si arrestò.
Tra i primi esempi in campo oncologico, possiamo ricordare il medico italiano Bernardino Ramazzini che, nel 1713, notò l’assenza di tumore della cervice uterina e una incidenza relativamente alta di tumore del seno nelle suore. Questi dati gli fecero ipotizzare un legame tra la vita da nubili delle suore e questi tumori, un’osservazione importante per la successiva identificazione del ruolo dell’attività sessuale, della gravidanza e degli ormoni in tale contesto.
Michael Marmot è uno dei più influenti epidemiologi contemporanei che, con il suo team, è riuscito a dimostrare che anche le disuguaglianze sociali, economiche e culturali hanno un ruolo cruciale nell'insorgenza e nella diffusione delle malattie. I suoi studi hanno rivoluzionato l'epidemiologia, che invece tendeva a concentrarsi principalmente su fattori biologici e genetici.
Il suo lavoro più significativo è stato il "Whitehall Study", un ampio studio condotto nel Regno Unito che ha esaminato la salute dei funzionari pubblici, rivelando che le persone che occupavano posizioni lavorative con minori responsabilità e salari più bassi correvano un rischio maggiore di ammalarsi e di avere una prognosi meno favorevole rispetto a chi ricopriva ruoli con maggiori poteri decisionali. Questo studio ha dimostrato che le disuguaglianze sociali possono influenzare lo stato di salute delle persone, come il reddito, l'istruzione, lo status occupazionale e l'accesso ai servizi sanitari, sono strettamente legate alla salute, tanto quanto o più di fattori tradizionali come il fumo, l'alimentazione e l'attività fisica.
Attraverso il suo impegno nell'ambito della politica sanitaria, Marmot ha cercato di sensibilizzare i governi e le istituzioni internazionali sull'importanza di ridurre le disuguaglianze sociali per migliorare la salute pubblica, proponendo politiche che favoriscano una distribuzione più equa delle risorse e che affrontino le cause profonde delle disuguaglianze. Il suo lavoro ha portato a una nuova comprensione dell'epidemiologia, orientata non solo verso la prevenzione delle malattie, ma anche verso la promozione della giustizia sociale e del benessere globale.
L’epidemiologia moderna è sicuramente cambiata rispetto a quella di Snow e colleghi che si concentravano soprattutto sull’osservazione di grandi epidemie di malattie trasmissibili causate da virus e batteri. Oggi gli epidemiologi guardano anche alle patologie non trasmissibili come malattie cardiovascolari e tumori, andando a volte ben oltre i fattori ambientali per arrivare fino all’epidemiologia molecolare, che ricerca i meccanismi biologici alla base delle osservazioni epidemiologiche.
L’epidemiologia moderna si basa su numeri, dati e informazioni raccolti in popolazioni spesso molto ampie, per lunghi periodi di tempo. Per elaborare i dati servono strumenti oltre che medici e biologici, matematici, statistici e informatici specifici, che permettono di valutare potenza e rigore delle eventuali associazioni tra fattori di rischio e malattie.
Per raccogliere le informazioni, gli epidemiologi utilizzano spesso questionari validati dalla comunità scientifica e proposti alla popolazione coinvolta nello studio, oppure si basano sui dati delle cartelle cliniche dei pazienti ricoverati in ospedale o sui registri di malattia (come i registri oncologici, disponibili anche in Italia).
Nonostante tutte le accortezze dei ricercatori, non è possibile escludere alcuni problemi nella raccolta dei dati: per esempio, quando si utilizzano questionari alimentari per definire le abitudini nutrizionali di un gruppo di persone, alcune delle risposte potrebbero non essere precise, sia perché i ricordi sono spesso approssimativi, sia perché le persone spesso vogliono apparire più “virtuose” di quanto sono in realtà.
Gli studi epidemiologici possono essere osservazionali o sperimentali. Fanno parte del primo gruppo tutti gli studi che descrivono la distribuzione delle malattie nelle popolazioni in esame sia nello spazio sia nel tempo: tra questi vi sono gli studi osservazionali di coorte nei quali si confronta una popolazione esposta a un fattore di rischio (per esempio il fumo) con una non esposta e si valutano le differenze in termini di sviluppo e andamento nel tempo di una o più malattie nelle due popolazioni.
Gli esempi di studi osservazionali non mancano e hanno portato a risultati fondamentali per la comprensione e la prevenzione di molte malattie, come lo studio internazionale EPIC, sostenuto anche da AIRC, che ha valutato il legame tra alimentazione e cancro, o lo studio Framingham che ha permesso di identificare molti fattori di rischio cardiovascolare.
Nella cosiddetta epidemiologia sperimentale, invece, c’è un intervento del ricercatore che modifica le condizioni di partenza per verificare l’efficacia di una cura o di un metodo preventivo. Un classico esempio è sottoporre i partecipanti a due diversi regimi alimentari e poi osservare se queste modifiche fanno la differenza anche in termini di sviluppo o prevenzione di una malattia. Il tutto sempre con grande attenzione alla sicurezza del paziente e al rispetto delle norme etiche.
Lo sviluppo più recente dell’epidemiologia è la cosiddetta epidemiologia molecolare, che utilizza i dati ottenuti dagli studi precedenti con quelli provenienti da analisi genetiche o molecolari per stabilire come l’interazione tra caratteristiche genetiche e molecolari individuali e fattori ambientali possa influenzare l’insorgenza di diverse malattie e predisporre maggiormente alcune persone al rischio di ammalarsi.
Autore originale: Agenzia Zoe
Revisione di Cristina Da Rold in data 05/06/2025
Agenzia Zoe